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24. Agosto 2021 | Potestà e responsabilità - Tesi per una riforma della Chiesaa

Prof. Dr. Marianne Schlosser, Alina Oehler, Weihbischof Florian Wörner, Stadtdechant Dr. Wolfgang Picken |



  1. Le sfide odierne

La Chiesa cattolica sta perdendo massicciamente importanza e attrattività in Germania. Nel 2019, più di 270.000 persone sono uscite dalla Chiesa. In nessun luogo la perdita di rilevanza è più evidente che nei sacramenti. Anche prima dello scoppio della pandemia del Coronavirus, il numero di coloro che frequentavano regolarmente la S. Messa a livello nazionale, si aggirava intorno al 9%. Nel 2019, circa 40.000 credenti si sono sposati in Chiesa, - nel 2000, tuttavia, erano ancora più di 60.000[1]. Anche la nuova generazione di sacerdoti è diminuita massicciamente negli ultimi anni, il numero dei nuovi ordinati negli ultimi venti anni è calato più del 60 per cento[2].

Queste sono cifre che dovrebbero allarmare. Se lo sviluppo continua con questo ritmo, allora la Chiesa in questo paese, come l'abbiamo conosciuta, rischia di estinguersi entro pochi decenni. La diminuzione del numero dei fedeli solleva delle domande: Che cosa ha fatto allontanare la gente? Che cosa li tiene lontani? Come può il Vangelo raggiungerli e ispirarli?

Uno dei fattori del declino è la perdita di fiducia nella Chiesa come istituzione. Lo scandalo degli abusi è stato una delle ragioni per cui molte persone si sono allontanate dalla Chiesa. Il cosiddetto “Cammino Sinodale” (“Synodaler Weg”) prende vita a questo punto. Si è proposta di scoprire le cause della crisi degli abusi, del fallimento della Chiesa nella gestione degli abusi, nonché di avviare i miglioramenti necessari.

La Chiesa deve seriamente considerare questo problema e affrontare le domande più pressanti. Questo però lo può fare solo sulla base di ciò che secondo la fede cattolica la costituisce per sua natura. Le diverse situazioni di crisi della Chiesa richiamano tutti i suoi membri a riscoprire soprattutto ciò che essa è in vista di Cristo e a diventare più ciò che Egli vuole che essa sia secondo la sua volontà.

L’obiettivo deve essere quello di rendere nuovamente evidente al mondo esterno che, nonostante tutte le fallibilità umane, Dio si fa trovare nella Chiesa, che Dio vuole il bene di tutti gli uomini. Egli si è fatto uomo nel suo Figlio Gesù Cristo e si è rivolto all’umanità fino alla morte in croce. È risorto dai morti e ha promesso la vita eterna. Il suo amore ci tocca e guarisce nei sacramenti.

Per raggiungere quest’obiettivo, è necessario riconsiderare il modo in cui viene gestita la potestà d’ufficio nella Chiesa e favorire una più profonda partecipazione di tutti i battezzati nell’ambito di una sinodalità ecclesiale. Vogliamo proporre passi concreti per riforme che possano essere attuate in fedeltà verso la fede della Chiesa e in accordo con il suo ordinamento giuridico; mostrino altresì che le richieste presentate alla Chiesa dalla società, vengano considerate con serietà.

L’attenzione per le varie strutture non deve mai distogliere lo sguardo da Dio. «Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza ,fedeltà della Chiesa alla propria vocazione’, qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo», scrive Papa Francesco[3]. D’altra parte, di fronte alle evidenti deficienze, un rinnovamento strutturale è anche doveroso. Dove ci sono errori, devono essere eliminati. Dove vi sono punti oscuri che hanno favorito l’abuso, questi devono essere scoperti. Se la partecipazione come tale è parte costituente la natura della comunità ecclesiale, essa deve essere resa possibile, senza riserve.

Solo così il Vangelo, cioè la Buona Novella, può nuovamente risplendere e ogni battezzato potrà divenire un «soggetto attivo di evangelizzazione»[4]. Solo in tal modo clero e laici possono, ciascuno nel proprio ambito, operare nel mondo come “apostoli del suo amore” (San Vincenzo Pallotti).

Questo è ciò che intende proporre il seguente testo.

 

  1. Potestà e ministero sacramentale nella Chiesa

Punto di partenza: natura e missione della Chiesa

1. Che cos’è la Chiesa? Molto dipende da questa semplice domanda. Coll’interrogativo del “cosa” sia Chiesa, è la questione sulla sua natura, e il tipo di risposta ottenuta determina il modo con cui la si guarda: sulla sua necessità e sullo scopo della sua esistenza, sui suoi ministeri e sulle sue strutture. Di conseguenza è diventata inevitabile anche la questione delle colpe e dei fallimenti nella Chiesa, mettendo in discussione con questo anche la giustificazione, la distribuzione e l’esercizio del potere nella Chiesa.

2. Per sapere cosa è la Chiesa, bisogna intendere da dove viene. «Il mistero della santa Chiesa si manifesta nella sua stessa fondazione», insegna il Concilio Vaticano II (LG 5). Il Catechismo della Chiesa Cattolica specifica questo principio affermando che la Chiesa ha «la sua origine nel disegno della Santissima Trinità» (CCC 758).

La Chiesa, come la concepisce il Concilio Vaticano II, è molto più di una delle tante istituzioni all’interno della società. Essa procede dalla vita interiore di Dio stesso, che si comunica per amore come uno e trino verso il mondo creato. La Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium sviluppa questo pensiero fin dai suoi primi paragrafi (cf. LG 2-4). Dio Padre ha voluto che tutti gli esseri umani partecipassero alla pienezza della vita divina. Per completare il piano del suo amore, che comincia con la creazione, si rivolge agli esseri umani, sceglie un popolo e stabilisce un’alleanza con loro. Attraverso la sua Parola e il suo Spirito, sta operando sin dall’inizio nella storia dell’umanità, in modo speciale nella storia del popolo d’Israele. Il culmine dell’autorivelazione di Dio è la missione visibile del suo Verbo eterno, che viene nel mondo come essere umano. La missione invisibile dello Spirito Santo muove le persone ad aprire il loro cuore a questa Parola. Lo Spirito permette loro di diventare figli di Dio nella fede, nella speranza e nell’amore del Figlio Gesù Cristo, e riunisce tutti gli sparsi nel mondo come membri di un unico corpo spirituale. Questo corpo, di cui Cristo è il capo e lo Spirito Santo ne è l’anima, è la Chiesa. In essa tutti gli uomini devono essere uniti sotto il dominio regale di Dio e condotti sul cammino della perfezione nel suo regno eterno.

Gesù stesso nell’ora della sua Passione ha pregato «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21) […] Dio vuole la Chiesa, perché egli vuole l’unità e nell’unità si esprime tutta la profondità della sua agape. Infatti, questa unità data dallo Spirito Santo non consiste semplicemente nel confluire insieme di persone che si sommano l’una all’altra. È una unità costituita dai vincoli della professione di fede, dei sacramenti e della comunione gerarchica10. I fedeli sono uno perché, nello Spirito, essi sono nella comunione del Figlio e, in lui, nella sua comunione col Padre: «La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1Gv 1,3). Dunque, per la Chiesa cattolica, la comunione dei cristiani non è altro che la manifestazione in loro della grazia per mezzo della quale Dio li rende partecipi della sua propria comunione, che è la sua vita eterna. Le parole di Cristo «che tutti siano una cosa sola» sono dunque la preghiera rivolta al Padre perché il suo disegno si compia pienamente, così che risplenda «agli occhi di tutti qual è l’adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, Creatore dell’universo» (Ef 3,9). Credere in Cristo significa volere l’unità; volere l’unità significa volere la Chiesa; volere la Chiesa significa volere la comunione di grazia che corrisponde al disegno del Padre da tutta l’eternità.

Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Ut unum sint (25 maggio 1995), n.9

Se Dio è unità dialogica, essere in relazione, la creatura umana, fatta a sua immagine e somiglianza, rispecchia tale costituzione: essa pertanto è chiamata a realizzarsi nel dialogo, nel colloquio, nell’incontro: è un essere in relazione. In particolare, Gesù ci ha rivelato che l’uomo è essenzialmente “figlio”, creatura che vive nella relazione con Dio Padre, e così in relazione con tutti i suoi fratelli e sorelle.  (…) In una società tesa tra globalizzazione e individualismo, la Chiesa è chiamata ad offrire la testimonianza della koinonìa, della comunione. Questa realtà non viene “dal basso” ma è un mistero che ha, per così dire, le “radici in cielo”: proprio in Dio uno e trino. E’ Lui, in se stesso, l’eterno dialogo d’amore che in Gesù Cristo si è comunicato a noi, è entrato nel tessuto dell’umanità e della storia per condurle alla pienezza. Ed ecco allora la grande sintesi del Concilio Vaticano II: la Chiesa, mistero di comunione, «è in Cristo come un sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Cost. Lumen gentium, 1).

Benedetto XVI, Omelia (Visita pastorale a Savona e Genoa), Genova (18 maggio 2008)

Cristo, sacramento di Dio nel mondo

3. Poiché al centro dell’attenzione del Dio trinitario per il mondo sta l’incarnazione del Figlio, il mistero della Chiesa deve essere compreso soprattutto partendo dal mistero di Gesù Cristo. Seguendo un motivo profondamente radicato nella teologia dei Padri greci, che Tommaso d’Aquino ha ripreso nel Medioevo, il Cristo incarnato è stato descritto nella teologia, partendo dal XIX secolo, come il sacramento di Dio nel mondo. I sacramenti sono segni visibili ed efficaci (simboli reali) di una realtà spirituale. Per questo, l’uomo Gesù di Nazareth è un’icona del Dio invisibile nel mondo, un segno che realizza la volontà divina di salvezza nella storia. Nelle parole e nelle azioni umane di Gesù, il Dio nascosto parla agli esseri umani, si rende corporalmente toccabile per loro, offre loro la sua vicinanza e comunione. La vita che il Figlio incarnato conduce nell’unione più profonda con il suo Padre celeste e che culmina nel suo dono di sé sulla croce, è un’espressione dell’amore sconfinato di Dio e una rivelazione della sua natura più profonda.

«Dio nessuno l’ha mai visto», scrive san Giovanni per dar maggior rilievo alla verità secondo cui «proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1, 18). Questa “rivelazione” manifesta Dio nell’insondabile mistero del suo essere - uno e trino - circondato di “luce inaccessibile” (1 Tim 6, 16). Mediante questa «rivelazione» di Cristo, tuttavia, conosciamo Dio innanzitutto nel suo rapporto di amore verso l’uomo: nella sua «filantropia» (Tit 3, 4). È proprio qui che «le sue perfezioni invisibili» diventano in modo particolare «visibili», incomparabilmente più visibili che attraverso tutte le altre «opere da lui compiute»: esse diventano visibili in Cristo e per mezzo di Cristo, per il tramite delle sue azioni e parole e, infine, mediante la sua morte in croce e la sua risurrezione.

Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Dives in misericordia (30 novembre 1980), n.2

La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti – un realismo inaudito. Già nell’Antico Testamento la novità biblica non consiste semplicemente in nozioni astratte, ma nell'agire imprevedibile e in certo senso inaudito di Dio. Questo agire di Dio acquista ora la sua forma drammatica nel fatto che, in Gesù Cristo, Dio stesso insegue la «pecorella smarrita», l’umanità sofferente e perduta. Quando Gesù nelle sue parabole parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare. Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo — amore, questo, nella sua forma più radicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cf. 19,37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: «Dio è amore» (1 Gv 4, 8). È lì che questa verità può essere contemplata.

Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus caritas est (25 dicembre 2005), n.12

La realtà sacramentale della Chiesa in Cristo

4. In comunione con Gesù Cristo nella fede e nell’amore, gli uomini diventano figli di Dio in un senso nuovo, come sorelle e fratelli del Figlio eterno del Padre. In questo modo Cristo raduna la famiglia di Dio, rende possibile la conversione e il perdono dei peccati, e dirige le persone verso una meta della loro vita che non potrebbero mai raggiungere con i propri sforzi. Attraverso la morte e la risurrezione di Gesù e la missione dello Spirito pasquale, questo movimento di raduno prende una forma universale: il popolo di Dio dell’Antica Alleanza si ritrova nel nuovo popolo di Dio, nella Chiesa degli Ebrei e dei Gentili.

Poiché «la Chiesa è il prolungamento del Corpo di Cristo nella storia»[5], essa è anche partecipe della natura sacramentale del Figlio incarnato. Tutto ciò che possiede lo riceve da Cristo - per questo è stata paragonata alla luna, che non brilla da sé, ma riceve la sua luce interamente dal sole. «In Cristo», insegna il Concilio, la Chiesa è «in qualche modo il sacramento, cioè il segno e lo strumento della più intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1). Ciò significa che la Chiesa rende visibile al mondo, come gli uomini di tutti i popoli e le nazioni sono uniti in modo unico al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo e con ciò anche tra di loro. Allo stesso tempo è uno strumento vivo per la realizzazione di questa doppia unità per tutti coloro che vogliono unirsi alla Chiesa.

In questo modo essa è «per un’analogia che non è senza valore, […], paragonata al mistero del Verbo incarnato»: «Infatti, come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l’organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del corpo (cf. Ef 4,16)» (LG 8).

Al di là dell’indiscussa analogia tra Cristo e la Chiesa, il Concilio indica contemporaneamente la chiara differenza tra la sacramentalità della Chiesa e la sacramentalità di Cristo. La natura umana di Gesù è irrevocabilmente assunta nella persona del Figlio divino. Attraverso l’unione con la divinità è santificata e preservata da ogni peccato, è in ogni momento un mero mezzo dell’azione divina nel mondo. Questo, tuttavia, non vale per la dimensione umana della Chiesa. È vero che alla Chiesa è assicurata la santità oggettiva e persino l’indistruttibilità per l’azione dello Spirito, in modo che attraverso la proclamazione della Parola, la celebrazione dei sacramenti e il ministero pastorale possa rendere presente e continuare l’azione di Cristo nel mondo. Tuttavia, i membri della Chiesa sono esseri umani che portano il tesoro della grazia di Dio «in vasi di creta» (cf. 2 Cor 4,7), rimanendo liberi di rifiutare la loro vocazione e missione. Pertanto, il peccato dei battezzati, sia nella sua dimensione individuale che in quella strutturale, può oscurare la missione sacramentale della Chiesa in modo significativo e persino renderla dubbiosa agli occhi di molte persone. Essa può porre la reale dimensione della Chiesa in un contrasto quasi insopportabile con la sua vera natura interna.

La teologia di tutti i secoli si muove tra due poli, affermando che la Chiesa sia “immacolata” e allo stesso tempo “deformata”, la cui mediazione finale, come già sapeva Agostino, rimane l’oggetto della speranza escatologica.[6] Tuttavia, ovunque i cattolici hanno denunciato con parole talvolta taglienti la depravazione “adultera” della Chiesa, la simultanea realtà della sua santificazione in Cristo non è mai stata messa in discussione. «Non è in sé stessa che la Chiesa è ferita, ma in noi. Stiamo dunque attenti che il nostro errore non diventi la ferita della Chiesa», scriveva Sant’Ambrogio (De Virginitate, c. VIII, n. 48).

Da ciò si può concludere, che ciò vale per tutti i singoli sacramenti, vale in egual modo anche per la Chiesa sacramentale: il suo potere spirituale oggettivo (l’efficacia ex opere operato) è garantito da Cristo stesso e non mai soggetto al parere umano nella presentazione e interpretazione del segno sacro; di conseguenza, non può essere distrutto da colpa umana. Tuttavia la percezione “fruttuosa” della realtà significata di coloro a cui si rivolge (l’efficacia ex opere operantis), può essere gravemente compromessa dal cattivo comportamento degli esseri umani nel processo di comunicazione sacramentale. Caterina da Siena ha espresso questo in un’immagine: il dono della grazia, che non può essere pregiudicato dagli esseri umani, ma che è pur sempre trasmesso da loro, potrebbe essere disprezzato se il portatore fosse disgustosamente sporco (Dialogo 120.122). Se gli amministratori dei sacramenti danno origine a scandalo attraverso un’azione colpevole, non solo rendono inattendibile la rappresentazione di Cristo nel ministero ordinato, ma, addirittura, ostacolano per altre persone l’incontro con Dio nei sacramenti da loro amministrati. Questo aspetto viene giustamente menzionato nelle descrizioni dell’attuale crisi della Chiesa.

Unendosi a Cristo, il Popolo della nuova Alleanza, lungi dal chiudersi in se stesso, diventa “sacramento” per l'umanità, segno e strumento della salvezza operata da Cristo, luce del mondo e sale della terra (cf. Mt 5,13-16) per la redenzione di tutti. La missione della Chiesa è in continuità con quella di Cristo: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21). Perciò dalla perpetuazione nellEucaristia del sacrificio della Croce e dalla comunione col corpo e con il sangue di Cristo la Chiesa trae la necessaria forza spirituale per compiere la sua missione.

Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), n.22

Alcuni guardano la Chiesa fermandosi al suo aspetto esteriore. Allora la Chiesa appare solo come una delle tante organizzazioni in una società democratica, secondo le cui norme e leggi, poi, deve essere giudicata e trattata anche una figura così difficile da comprendere come la “Chiesa”. Se poi si aggiunge ancora l’esperienza dolorosa che nella Chiesa ci sono pesci buoni e cattivi, grano e zizzania, e se lo sguardo resta fisso sulle cose negative, allora non si schiude più il mistero grande e bello della Chiesa.

Quindi, non sorge più alcuna gioia per il fatto di appartenere a questa vite che è la “Chiesa”. Insoddisfazione e malcontento vanno diffondendosi, se non si vedono realizzate le proprie idee superficiali ed erronee di “Chiesa” e i propri “sogni di Chiesa”! Allora cessa anche il lieto canto «Sono grato al Signore, che per grazia mi ha chiamato nella sua Chiesa», che generazioni di cattolici hanno cantato con convinzione.

[…] «Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me, … perché senza di me – si potrebbe anche tradurre: fuori di me – non potete far nulla» (Gv 15,4). Ognuno di noi è messo di fronte a tale decisione. Il Signore, nella sua parabola, ci dice di nuovo quanto essa sia seria: «Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi raccolgono i tralci buttati via, li gettano nel fuoco e li bruciano» (cf. Gv 15,6). Al riguardo, S. Agostino commenta: «L’uno o l’altro spetta al tralcio, o la vite o il fuoco; se [il tralcio] non è nella vite, sarà nel fuoco; quindi affinché non sia nel fuoco, sia nella vite» (In Joan. Ev. tract. 81,3 [PL 35, 1842]).

Benedetto XVI, Omelia (Viaggio Apostolico in Germania), Olympiastadion, Berlino (22 settembre 2011)

Conferimento della potestà d’ufficio a persone nella Chiesa

5. Ciò che rimane di vero in tutto questo è che nella misura in cui la Chiesa è principalmente una realtà sacramentale attraverso e in Cristo, l’umano, il visibile e l’istituzionale non può essere separato dal divino, invisibile e spirituale. Le due dimensioni «formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino» (LG 8). Questo è anche il principio di base per una comprensione teologica del ministero della Chiesa.

Già prima della Pasqua Gesù coinvolge persone nella sua opera sacramentale. Chiunque si mette alla sequela di Gesù, partecipa al suo essere e alla sua missione. In un atto solenne all’inizio del suo ministero pubblico, Gesù “costituì” dodici uomini «perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni» (cf. Mc 3,14-15). Essi rappresentano il rinnovamento escatologico dell’eletto popolo di Dio Israele, costituito in dodici tribù. Dopo la Pasqua, il Signore risorto, invocando la sua potestà universale, manda nuovamente gli apostoli ad annunciare il Vangelo agli uomini di tutto il mondo, a farne discepoli e a battezzarli nel nome del Dio trinitario. Per questa missione assicura loro la sua costante presenza (cf. Mt 28,18-20).

6. È parte integrante della fede cattolica che con l’istituzione degli apostoli da parte di Cristo egli abbia stabilito un ministero spirituale permanente nella Chiesa, mediato sacramentalmente con l’imposizione delle mani e dalla preghiera. Da un lato, questo ministero rappresenta Cristo risorto vittorioso e la sua opera come Signore esaltato della Chiesa: «Con la grandezza della sua potenza domina sulle cose celesti e terrestri, e con la sua perfezione e azione sovrana riempie delle ricchezze della sua gloria tutto il suo corpo (cf. Ef 1,18-23)» (LG 7).

D’altra parte, la forma concreta in cui la rappresentazione di Cristo deve avvenire nel cammino terreno della Chiesa, rimane quella che il Signore stesso ha indicato nella sua vita terrena come forma di discepolato: la partecipazione alla sua pro-esistenza, al suo impegno incondizionato per Dio e per gli uomini, e alla sua amorevole donazione di sé fino alla morte (cf. Mc 9,35; Mc 10,42-44). «Un inviato non è più grande di chi lo ha mandato» (Gv 13,16), dice Cristo ai discepoli dopo aver riassunto simbolicamente il programma della sua vita con la lavanda dei piedi. Il Vangelo insegna che la potestà nella Chiesa viene conferita e intesa come servizio gratuito, e che coloro a cui è conferita devono rendere maggiormente conto del loro operato. Questo è un alto ideale già per gli apostoli (a cominciare da Pietro), ma che deve rimanere una valida sfida per la Chiesa di tutti i tempi.

La missione affidata da Gesù agli Apostoli deve durare sino alla fine dei secoli (cf. Mt 28, 20), poiché il Vangelo che essi sono incaricati di trasmettere è la vita per la Chiesa di ogni tempo. Proprio per questo essi hanno avuto cura di costituirsi dei successori […]. La speciale effusione dello Spirito Santo, di cui gli Apostoli furono colmati dal Signore risorto (cf. At 1, 5.8; 2, 4; Gv 20, 22-23), fu da essi partecipata attraverso il gesto dell'imposizione delle mani ai loro collaboratori (cf. 1 Tm 4, 14; 2 Tm 1, 6-7). Questi, a loro volta, con lo stesso gesto la trasmisero ad altri, e questi ad altri ancora. In tal modo, il dono spirituale degli inizi è giunto fino a noi mediante l'imposizione delle mani, cioè la consacrazione episcopale, che conferisce la pienezza del sacramento dell’Ordine, il sommo sacerdozio, la totalità del sacro ministero. Così, per mezzo dei Vescovi e dei presbiteri che li assistono, il Signore Gesù Cristo, pur sedendo alla destra di Dio Padre, continua ad essere presente in mezzo ai credenti. In tutti i tempi e in tutti i luoghi Egli predica la parola di Dio a tutte le genti, amministra i sacramenti della fede ai credenti e nello stesso tempo dirige il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l’eterna beatitudine. Il Buon Pastore non abbandona il suo gregge, ma lo custodisce e lo protegge sempre mediante coloro che, in forza della partecipazione ontologica alla sua vita e alla sua missione, svolgendone in modo eminente e visibile la parte di maestro, pastore e sacerdote, agiscono in sua vece. Nell’esercizio delle funzioni che il ministero pastorale comporta, sono costituiti suoi vicari e ambasciatori.

Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale Pastores Gregis (16 ottobre 2003), n.6

«Consacrali nella verità»: è questo l’inserimento degli apostoli nel sacerdozio di Gesù Cristo, l’istituzione del suo sacerdozio nuovo per la comunità dei fedeli di tutti i tempi. «Consacrali nella verità»: è questa la vera preghiera di consacrazione per gli apostoli. Il Signore chiede che Dio stesso li attragga verso di sé, dentro la sua santità. Chiede che Egli li sottragga a se stessi e li prenda come sua proprietà, affinché, a partire da Lui, essi possano svolgere il servizio sacerdotale per il mondo.

(...) Non ha forse Cristo detto di se stesso: “Io sono la verità” (cf. Gv 14, 6)? E non è forse Egli stesso la Parola vivente di Dio, alla quale si riferiscono tutte le altre singole parole? Consacrali nella verità – ciò vuol dire, dunque, nel più profondo: rendili una cosa sola con me, Cristo. Lègali a me. Tìrali dentro di me. E di fatto: esiste in ultima analisi solo un unico sacerdote della Nuova Alleanza, lo stesso Gesù Cristo. E il sacerdozio dei discepoli, pertanto, può essere solo partecipazione al sacerdozio di Gesù. Il nostro essere sacerdoti non è quindi altro che un nuovo e radicale modo di unificazione con Cristo. Sostanzialmente essa ci è stata donata per sempre nel Sacramento. Ma questo nuovo sigillo dell’essere può diventare per noi un giudizio di condanna, se la nostra vita non si sviluppa entrando nella verità del Sacramento.

Benedetto XVI, Santa Messa del Crisma, Omelia (9 aprile 2009)

Il ministero sacramentale dei vescovi, presbiteri e diaconi

7. La forma concreta del ministero sacramentale nei tre gradi di vescovo, presbitero e diacono si è sviluppata rapidamente nel primo periodo post-apostolico. Era lo Spirito del Signore risorto - secondo l’interpretazione nella prospettiva della fede -, che anche in questo senso introdusse la sua Chiesa in tutta la verità (cf. Gv 16,13). Proprio come la Chiesa nel suo insieme - nella potenza dello Spirito pentecostale di Dio -, continua sacramentalmente l’opera del suo Signore incarnato, così anche l’ufficio di governo nella Chiesa ha forma sacramentale: È un segno efficace della presenza permanente di Cristo, del Capo, nella sua Chiesa. In questo modo l’ordine sacro rende visibile quanto la Chiesa non costituisca se stessa e non sia autosufficiente, ma dipende sempre dall’azione del suo Signore che anticipa tutto.

La sacramentalità della Chiesa e del suo ministero apostolico non è innanzitutto un “programma” da attuare (in modo più o meno convincente) da parte di esseri umani, ma una caratteristica essenziale iscritta nella Chiesa da Cristo stesso. La partecipazione pneumatica alla missione di Gesù attraverso l’inclusione nella sua triplice missione di insegnare, governare e santificare, che è data alla Chiesa nel suo insieme e ai credenti in essa (cf. LG 31), si realizza attraverso l’ordine sacro in modo speciale, cioè come ministero pastorale a tutti i battezzati nella persona di Cristo che è Capo della Chiesa.

In questo modo, come già la Costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II evidenzia con la sua struttura, la comune elezione e dignità di tutto il popolo di Dio è il fondamento della missione ecclesiale (cf. LG 9-12): il dono della figliolanza in Dio, la chiamata alla santità nella sequela di Cristo e il multiforme dono dello Spirito di Dio per partecipare all’apostolato della Chiesa precedono nel tempo e nella sostanza ogni abilitazione ministeriale attraverso l’ordinazione. Sebbene il ministero d’ufficio affidato a vescovi, sacerdoti e diaconi comporti sempre un’azione in nome della Chiesa, e possa, quindi, essere visto come una concretizzazione dei carismi comuni del battesimo e della cresima, non si esaurisce in questo. Non è semplicemente il risultato di una delega dei fedeli o di una differenziazione funzionale all’interno della storia sociale di un’istituzione religiosa. Cristo stesso autorizza le persone attraverso l’ordinazione sacramentale anche ad agire nella sua persona. La Chiesa che tramite l’ordinazione sacramentale (LG 11) conferisce la «sacra potestà» (LG 18) è presieduta da pastori; in questo modo sono abilitati e dotati di un proprio carisma di ufficio.

8. In primo luogo, secondo la dottrina cattolica, i vescovi sono chiamati a presiedere nella Chiesa con il loro ministero sacramentale. Perciò, nell’attuale preghiera per l’ordinazione dei vescovi - il cui testo è attestato già all’inizio del III secolo -, s’invoca sulla persona ordinanda lo stesso «Spirito che regge e guida» che Cristo «ha trasmesso ai santi Apostoli». Essi «per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli quali pastori della Chiesa» (LG 20) ed esercitano un ministero stabilito dal Signore che perdura «fino alla fine dei secoli» (LG 18). Il vescovo è posto «in nome di Cristo a pascere la Chiesa colla parola e la grazia di Dio» (LG 11). Egli è «insignito della pienezza del sacramento dell’ordine» (LG 26), a esso il ministero pastorale nella Chiesa è «pienamente» affidato (LG 27).

Nel loro esercizio di missione pastorale e di presidenza, i vescovi continuano il triplice ministero di Cristo «quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo della Chiesa» (LG 20). Come in Cristo gli aspetti del triplice ministero (munus triplex) si compenetrano l’un l’altro in modo indiviso, così la rappresentazione integrale di Cristo da parte del vescovo unisce tutte e tre le dimensioni (cf. LG 21; CD 2). Al suo ministero è legato da Cristo l’obbligo di impegnarsi per l’unità e l’identità della Chiesa, nella quale i fedeli sono uniti «grazie ai legami costituiti dalla professione di fede, dai sacramenti, dal governo ecclesiastico e dalla comunione» (LG 14).

Da ciò segue non solo che i vescovi in prospettiva sia sincronica che diacronica hanno una funzione indispensabile per la conservazione intatta e viva del Vangelo (cf. DV 7), che li distingue da altre istituzioni nella struttura della tradizione attiva della Chiesa e per cui ricevono «un carisma sicuro di verità» (DV 8). Diventa anche chiaro che la separazione dei poteri in senso moderno non è compatibile con il governo della Chiesa rappresentato da un vescovo.

L’episcopato, tuttavia, conosce un’altra limitazione, che deriva dall’integrazione collegiale del singolo vescovo nell’episcopato universale e dall’intreccio della Chiesa particolare che fanno capo da un unico vescovo, con la Chiesa universale, la cui unità è affidata alla cura speciale del ministero petrino. In questo modo, sebbene la potestà di ordine, conferita da Cristo, appartenga al vescovo come proprietà «propria, ordinaria e immediata», «il suo esercizio sia in ultima istanza sottoposto alla suprema autorità della Chiesa» e «entro certi limiti, in vista dell'utilità della Chiesa o dei fedeli, possa essere ristretto» (LG 27). Il legittimo esercizio della potestà pastorale avviene solo «nella comunione gerarchica col capo e con le membra del collegio» (LG 21), in cui il singolo vescovo è ammesso per l’ordinazione ricevuta. Oltre all’ordinazione sacramentale, l’assegnazione di una missione canonica, che avviene tramite il Papa, rappresentando il primato di Pietro nel collegio dei Dodici, rimane per lui indispensabile. Come sottolinea la Nota praevia della Costituzione Lumen Gentium, la «partecipazione ai sacri uffici» ricevuta con l’ordinazione deve essere giuridicamente ,determinata’ in modo che diventi una vera potestà in cui il vescovo agisce per la sua diocesi come legislatore, giudice e responsabile delle funzioni liturgiche e apostoliche. In questo modo la Chiesa è «governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui» (LG 8).

9. In forma graduata gli altri sacramentalmente ordinati, ossia presbiteri e diaconi, partecipano al ministero pastorale ecclesiastico come “collaboratori” e “cooperatori” dei vescovi (cf. LG 20). Anche a loro «il ministero della parola e dei sacramenti» è «affidato in modo speciale» (AA 6), che esercitano sempre in stretta unione con il vescovo. Come il vescovo, anche i presbiteri «sono consacrati per predicare il Vangelo, essere i pastori fedeli e celebrare il culto divino» (LG 28). Nell’ordinazione anche loro ricevono un’impronta indelebile, così che assumono il loro ministero spirituale sotto forma di una missione che dura tutta la vita e che coinvolge tutta la loro esistenza. «Il ministero che ricevono dalla tua mano, o Dio, la partecipazione al ministero sacerdotale, sia la loro parte per sempre»[7], prega il vescovo nella preghiera consacratoria all’ordinazione dei presbiteri. «Quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento» (LG 28), i presbiteri ricevono la loro potestà sacramentale da Cristo e non dal vescovo, che conferisce l’ordinazione sacerdotale non da se stesso, ma come ministro di Dio[8].

Il centro del loro “sacro ministero” è la celebrazione dell’Eucaristia, «dove, agendo in persona di Cristo e proclamando il suo mistero, uniscono le preghiere dei fedeli al sacrificio del loro capo e […] rendono presente e applicano […] l’unico sacrificio del Nuovo Testamento, quello cioè di Cristo» (LG 28). Papa Francesco ha recentemente ricordato il cuore della vocazione del ministero sacerdotale: «Il sacerdote è segno di questo Capo che effonde la grazia anzitutto quando celebra l’Eucaristia, fonte e culmine di tutta la vita cristiana. Questa è la sua grande potestà, che può essere ricevuta soltanto nel sacramento dell’Ordine sacerdotale»[9]. Per questo, il Concilio Vaticano II insegna che il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio comune di tutti i battezzati «differiscano essenzialmente e non solo di grado» (LG 10).

I presbiteri sono, nella Chiesa e per la Chiesa, una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e Pastore, ne proclamano autorevolmente la parola, ne ripetono i gesti di perdono e di offerta della salvezza, soprattutto col Battesimo, la Penitenza e l’Eucaristia, ne esercitano l’amorevole sollecitudine, fino al dono totale di sé per il gregge, che raccolgono nell'unità e conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito. In una parola, i presbiteri esistono ed agiscono per l’annuncio del Vangelo al mondo e per l’edificazione della Chiesa in nome e in persona di Cristo Capo e Pastore. Questo è il modo tipico e proprio con il quale i ministri ordinati partecipano all’unico sacerdozio di Cristo. Lo Spirito Santo mediante l’unzione sacramentale dell’Ordine li configura, ad un titolo nuovo e specifico, a Gesù Cristo Capo e Pastore, li conforma ed anima con la sua carità pastorale e li pone nella Chiesa nella condizione autorevole di servi dell’annuncio del Vangelo ad ogni creatura e di servi della pienezza della vita cristiana di tutti i battezzati.

Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), n.15

Come servizio all’unità della fede e alla sua trasmissione integra, il Signore ha dato alla Chiesa il dono della successione apostolica. Per suo tramite, risulta garantita la continuità della memoria della Chiesa ed è possibile attingere con certezza alla fonte pura da cui la fede sorge. La garanzia della connessione con l’origine è data dunque da persone vive, e ciò corrisponde alla fede viva che la Chiesa trasmette. Essa poggia sulla fedeltà dei testimoni che sono stati scelti dal Signore per tale compito. Per questo il Magistero parla sempre in obbedienza alla Parola originaria su cui si basa la fede ed è affidabile perché si affida alla Parola che ascolta, custodisce ed espone. Nel discorso di addio agli anziani di Efeso, a Mileto, raccolto da san Luca negli Atti degli Apostoli, san Paolo testimonia di aver compiuto l’incarico affidatogli dal Signore di annunciare «tutta la volontà di Dio» (At 20,27). È grazie al Magistero della Chiesa che ci può arrivare integra questa volontà, e con essa la gioia di poterla compiere in pienezza.

Francesco, Lettera Enciclica Lumen fidei (29 giugno 2013), n.49

Le diverse vocazioni nell’unica missione ecclesiale

10. Sebbene il Concilio abbia chiaramente confermato l’indispensabilità e l’indipendente fondamento sacramentale del ministero pastorale e possa quindi chiamare la Chiesa una «società costituita di organi gerarchici» (LG 8; cf. LG 20), allo stesso modo ha sottolineato sotto diversi aspetti il riferimento dell’ufficio alla totalità del popolo di Dio. Così la gerarchia ecclesiastica è obbligata ad apprezzare e promuovere i diversi carismi, alla cui valutazione e integrazione nell’unità della comunità ecclesiale è allo stesso tempo incaricata (cf. AA 3). Alla base di queste disposizioni relazionali c’è la convinzione della comune chiamata di tutti i battezzati alla santità, che li incoraggia e li obbliga a comprendere i loro molteplici carismi come la ricchezza della Chiesa e a riconoscerli come la base della partecipazione di tutti alla comune missione della Chiesa.[10]

L’esplicito riconoscimento del crescente senso di responsabilità dei laici nella Chiesa (cf. AA 1) e della loro autonoma vocazione all’apostolato attraverso il battesimo e la cresima (LG 33) è legato all’esortazione: «I pastori, da parte loro, riconoscano e promuovano la dignità e la responsabilità dei laici nella Chiesa; si servano volentieri del loro prudente consiglio, con fiducia affidino loro degli uffici in servizio della Chiesa e lascino loro libertà e margine di azione, anzi li incoraggino perché intraprendano delle opere anche di propria iniziativa» (LG 37; cf. PO 9; CD 6; AA 24). L’ordine sacro non è un fine a se stesso, ma è un servizio alla salvezza di tutti i membri della Chiesa (cf. LG 18). Non è istituita «per assumersi da soli tutto il peso della missione salvifica della Chiesa verso il mondo» (LG 30), ma deve svolgere questo compito insieme a tutto il popolo di Dio. Ecco perché «c’è nella Chiesa diversità di ministero ma unità di missione» (AA 2; cf. LG 13). Il rapporto tra cristiani ordinati e non ordinati non deve essere segnato dall’invidia o dalla competizione, ma il ministero pastorale e l’apostolato laico sono destinati a cooperare fiduciosamente (cf. LG 37), a completarsi a vicenda (cf. AA 6) e a testimoniare insieme l’azione dell’unico Spirito di Dio (cf. LG 32). Anche nella Chiesa gerarchica è vero che «sono più forti infatti le cose che uniscono i fedeli che quelle che li dividono» (GS 92).

11. Il Concilio insegna esplicitamente che i laici, al di là del loro apostolato proprio, che si realizza principalmente “nel mondo” (cf. AA 2), «possono anche essere chiamati in diversi modi a collaborare più immediatamente con l’apostolato della Gerarchia» (LG 33), sull’esempio di quelle donne e uomini che già assistevano gli apostoli nel loro ministero. «Hanno inoltre la capacità per essere assunti dalla gerarchia ad esercitare, per un fine spirituale, alcuni uffici ecclesiastici» (ibid.). Queste direttive fondamentali del Concilio permettono diverse concretizzazioni per il coinvolgimento dei laici nella pastorale, che nei decenni successivi al Concilio - con accentuazioni diverse a livello regionale - sono già entrate in vigore in un ampio campo e permetteranno ulteriori sviluppi in futuro. In essi una grande varietà di carismi può trovare il suo riconoscimento, compresi quelli dell’insegnamento spirituale, della direzione e dell’accompagnamento di altri cristiani.

Il diritto canonico postconciliare non riconosce un vincolo generale degli uffici ecclesiastici (officia) all’ordinazione sacra (cf. CIC, can. 145). Su questa base, in molte parti della Chiesa universale la nomina di donne e uomini non ordinati ai ministeri pastorali e liturgici, a vari uffici di amministrazione e giurisdizione ecclesiastica (sotto il livello di vicario generale o vicario giudiziale e dei loro sostituti) o alla ricerca teologica e all’insegnamento, è dato da molto tempo per scontato. Consigli e organismi eletti sostengono il lavoro pastorale ai vari livelli ecclesiali di parrocchie, decanati, diocesi e conferenze episcopali nazionali. Sono, di fatto, espressione «che la sinodalità è dimensione costitutiva della Chiesa, che attraverso di essa si manifesta e configura come Popolo di Dio in cammino e assemblea convocata dal Signore risorto»[11].

12. Tuttavia, in questo tempo si pone nuovamente la questione in quali ambiti delle funzioni di governo ecclesiastico il collegamento tra giurisdizione e potestà di ordine non può essere abbandonato, perché riguarda in modo speciale un ministero pastorale che è connesso con la rappresentazione sacramentale di Cristo e quindi nasce dall’unità integrale d’insegnamento, governo e santificazione. In questo modo, i ministeri dedicati alla cura pastorale in senso pieno sono esplicitamente legati all’ordinazione sacerdotale anche nel diritto canonico vigente (cf. CIC, can. 150).

Per quanto riguarda l’ufficio dei vescovi diocesani, è indiscusso oggi che la separazione della giurisdizione e dell’ordine sacro - praticata in molti luoghi per secoli -, è stata una grave disfunzione che non deve essere ripetuta. D’altra parte, oggi non di rado viene chiesto di affidare formalmente ai laici la guida delle parrocchie, e quindi di inserirli, di fatto, in un ufficio finora legato all’ordinazione sacerdotale. Si promuove ciò con riferimento alle conseguenze pastorali della sempre più drammatica mancanza di sacerdoti in molte parrocchie, e poi facendo appello alla qualificazione carismatica di ogni cristiano radicata nel battesimo e nella cresima, che per alcuni cristiani sembra fornire di per sé la competenza della guida di una parrocchia.

Contro tali sforzi, la Congregazione per il Clero ha chiarito nel 2020, con l’approvazione di Papa Francesco, che il titolo o le funzioni di un pastore canonico non possono essere trasferiti a laici, anche in situazioni di carenza di sacerdoti[12]. Ciò non pregiudica le altre forme di collaborazione pastorale ed eventualmente «una partecipazione nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia» secondo il CIC, can. 517 § 2[13], che da tempo viene praticata nella Chiesa universale in varie forme concrete. L’Istruzione della Congregazione per il Clero, allora, ci ricorda che l’ideale della connessione tra l’ufficio di governo e l’ordinazione, anche a livelli inferiori del livello episcopale, non deve essere messo arbitrariamente a disposizione. Una soluzione ai problemi che indubbiamente derivano dalla carenza di sacerdoti in molte parti della Chiesa universale, deve essere dunque cercata nei limiti così definiti.

Lo Spirito Santo, mentre affida alla Chiesa-Comunione i diversi ministeri, l’arricchisce di altri particolari doni e impulsi, chiamati carismi. Possono assumere le forme più diverse, sia come espressione dell’assoluta libertà dello Spirito che li elargisce, sia come risposta alle esigenze molteplici della storia della Chiesa. […] I carismi vanno accolti con gratitudine: da parte di chi li riceve, ma anche da parte di tutti nella Chiesa. Sono, infatti, una singolare ricchezza di grazia per la vitalità apostolica e per la santità dell’intero Corpo di Cristo: purché siano doni che derivino veramente dallo Spirito e vengano esercitati in piena conformità agli impulsi autentici dello Spirito. In tal senso si rende sempre necessario il discernimento dei carismi. […] Per questo nessun carisma dispensa dal riferimento e dalla sottomissione ai Pastori della Chiesa. Con chiare parole il Concilio scrive: «Il giudizio sulla loro (dei carismi) genuinità e sul loro esercizio ordinato appartiene a quelli che presiedono nella Chiesa, ai quali spetta specialmente, non di estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono (cf. 1 Tess 5, 12 e 19-21)» (LG 12), affinché tutti i carismi cooperino, nella loro diversità e complementarietà, al bene comune (LG 30).

Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), n.24

L’ufficio di parroco comporta la piena cura delle anime [cf. CIC can. 150] e, di conseguenza, perché un fedele sia validamente nominato parroco, occorre che abbia ricevuto l’Ordine del presbiterato (cf. CIC can. 521 §1), esclusa ogni possibilità di conferire a chi ne fosse privo tale ufficio o le relative funzioni, anche nei casi di carenza di sacerdoti. Proprio per il rapporto di conoscenza e vicinanza che si richiede tra un pastore e la comunità, l’ufficio di parroco non può essere affidato a una persona giuridica (cf. CIC can. 520 §1). In modo particolare – a parte quanto previsto dal can. 517, §§ 1-2 – l’ufficio di parroco non può essere affidato a un gruppo di persone, composto da chierici e laici. Di conseguenza, sono da evitare denominazioni come, “team guida”, “équipe guida”, o altre simili, che sembrino esprimere un governo collegiale della parrocchia.

Congregazione per il Clero, Istruzione “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa” (20 luglio 2020), n.66

Criteri per l’esercizio appropriato degli uffici ecclesiali

13. Abbiamo già parlato del fatto che la potestà ministeriale rimane, nel suo esercizio, obbligata nel servizio verso la comunità ecclesiale e impegnata a promuoverne l’unità. Pertanto, la potestà, conferita nell’ordinazione sacramentale, può essere esercitata legittimamente solo in relazione a una missione canonica. Ma sarebbe riduttivo giudicare l’esercizio del potere all’interno della Chiesa solo in base a norme giuridiche. Già la Sacra Scrittura pone i ministri sotto l’obbligo spirituale-morale, «non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge» (1 Pt 5,3).

Specialmente nel nostro tempo, l’esercizio dell’ufficio nella Chiesa deve essere autentico e convincente per poter trovare accettazione tra la gente. Ci si aspetta che i rappresentanti ufficiali della Chiesa agiscano in un modo caratterizzato da trasparenza e affidabilità, e, non da ultimo, da credibilità personale e integrità morale. È vero che le persone ordinate, ossia i vescovi e i parroci, di regola non assumono il loro ufficio per elezione come i titolari di un mandato politico nelle democrazie moderne e non lo assumono solo per un tempo chiaramente limitato anticipatamente. In linea di principio, questa prassi continuerà ad essere applicata anche in futuro. Ma nella nostra epoca, le istituzioni tradizionali e i loro rappresentanti non godono più di una fiducia automatica, e devono fare i conti con il fatto che la loro cattiva condotta non è tollerata in silenzio, ma portata (dei media) in pubblico e accusata senza riguardi. Come per altre istituzioni sociali, la vigilanza pubblica sulle azioni delle Chiese in una società pluralista è una realtà che non deve essere intesa come una minaccia generalizzata, ma altrettanto come un aiuto per un’azione trasparente e un appello per una comunicazione credibile.

14. Quando gli uomini mettono a disposizione della Chiesa volontariamente e senza ricompenso il loro tempo e la loro competenza, o anche quando assumono un ministero remunerato a tempo pieno, essi vogliono sentirsi presi sul serio e apprezzati. In una visione comunitaria della Chiesa dovrebbe essere dato per scontato che le opportunità di partecipazione e dell’azione indipendente e responsabile di tutti i credenti attivi, anche se non dotati di potestà sacramentale o di autorità formale d’ufficio, vengano sfruttate nel miglior modo possibile. Per alcuni aspetti questo richiede un cambiamento di mentalità e di strutture ecclesiali. Sarà utile per la Chiesa professionalizzare ulteriormente i suoi ministri nelle aree di comunicazione, gestione del personale e motivazione del personale.

Inoltre, i titolari di cariche ecclesiastiche devono comprendere più che in passato che la loro autorità non è finalizzata all’autocrazia e alle decisioni solitarie, ma realizza il suo servizio di carattere cristiforme, coinvolgendo il maggior numero possibile di cristiani e permettendo loro di agire in modo indipendente. La potestà d’ufficio ecclesiale non perde nulla, se essa si con-divide e con questo si auto-limita. Realizza il suo compito più profondo quando essa si intende come una forma di rappresentante in senso biblico, che non sostituisce l’azione degli altri, ma la rende possibile, promuovendo la realizzazione della vocazione individuale di tutti i battezzati nello spazio comune della Chiesa. Infatti, secondo le parole del Concilio Vaticano II, il ministero ecclesiale deve preoccuparsi che «tutti coloro che appartengono al popolo di Dio, e perciò hanno una vera dignità cristiana, tendano liberamente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza» (LG 18).

Il Vescovo deve sempre favorire la comunione missionaria nella sua Chiesa diocesana perseguendo l’ideale delle prime comunità cristiane, nelle quali i credenti avevano un cuore solo e un’anima sola (cf. At 4,32). Perciò, a volte si porrà davanti per indicare la strada e sostenere la speranza del popolo, altre volte starà semplicemente in mezzo a tutti con la sua vicinanza semplice e misericordiosa, e in alcune circostanze dovrà camminare dietro al popolo, per aiutare coloro che sono rimasti indietro e – soprattutto – perché il gregge stesso possiede un suo olfatto per individuare nuove strade. Nella sua missione di favorire una comunione dinamica, aperta e missionaria, dovrà stimolare e ricercare la maturazione degli organismi di partecipazione proposti dal Codice di diritto canonico e di altre forme di dialogo pastorale, con il desiderio di ascoltare tutti e non solo alcuni, sempre pronti a fargli i complimenti. Ma l’obiettivo di questi processi partecipativi non sarà principalmente l’organizzazione ecclesiale, bensì il sogno missionario di arrivare a tutti.

Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n.31

Alla consultazione dei fedeli segue, durante la celebrazione di ogni Assemblea sinodale, il discernimento da parte dei Pastori appositamente designati, uniti nella ricerca di un consenso che scaturisce non da logiche umane, ma dalla comune obbedienza allo Spirito di Cristo. Attenti al sensus fidei del Popolo di Dio – «che devono saper attentamente distinguere dai flussi spesso mutevoli dell’opinione pubblica» (Francesco, Discorso nel 50° Anniversario dell’Istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ott. 2015) –, i Membri dell’Assemblea offrono al Romano Pontefice il loro parere, affinché questo possa essergli di aiuto nel suo ministero di Pastore universale della Chiesa. In tale prospettiva, il fatto che «il Sinodo abbia normalmente una funzione solo consultiva non ne diminuisce l’importanza. Nella Chiesa, infatti, il fine di qualsiasi organo collegiale, consultivo o deliberativo che sia, è sempre la ricerca della verità o del bene della Chiesa. Quando poi si tratta della verifica della medesima fede, il consensus Ecclesiae non è dato dal computo dei voti, ma è frutto dell’azione dello Spirito, anima dell’unica Chiesa di Cristo» (Esort. ap. postsin. Pastores gregis, 58). Pertanto il voto dei Padri sinodali, «se moralmente unanime, ha un peso qualitativo ecclesiale che supera l’aspetto semplicemente formale del voto consultivo». (Discorso di Giovanni Paolo II al Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo die Vescovi, 30 aprile 1983).

Francesco, Constituzione Apostolica Episcopalis Communio (15 settembre 2018), n.7

Abuso di potere nella Chiesa e modi per superarlo

15. La potestà d’ufficio ecclesiale può essere abusata in molti modi, se i suoi titolari la usano per promuovere discutibili interessi personali o addirittura per commettere crimini con il suo aiuto. Questo pericolo è sempre stato noto nella Chiesa, come testimonia il diritto penale canonico. Una delle esperienze più dolorose del nostro tempo è la conoscenza che questo sistema legale ha spesso fallito nel trattamento degli abusi sessuali e spirituali nella Chiesa, specialmente quando i delinquenti erano sacerdoti o religiosi.

La riesaminazione dei casi rilevanti degli ultimi decenni, che ha reso visibile la sofferenza d’innumerevoli vittime, soprattutto minorenni, è lontana dall’essere completata con la presentazione del cosiddetto “studio MHG” (“MHG-Studie”) e delle singole perizie diocesane. Tuttavia, già oggi è riconoscibile che con l’intenzione di proteggere la Chiesa come istituzione nonché la reputazione dell’ufficio sacerdotale, ma anche a causa di pregiudizi personali e strutture amministrative deficitarie, i crimini sono stati coperti dai vari governi ecclesiastici, i chierici colpevoli protetti e le vittime non considerate a dovere nella loro sofferenza. È vero che negli ultimi anni nelle diocesi e nelle congregazioni religiose tedesche sono già state prese molte misure concrete per affrontare lo scandalo degli abusi e per attuare misure preventive che stanno avendo effetto. Tuttavia, saranno necessari molti altri sforzi affinché la Chiesa possa riconoscere pienamente la sofferenza delle vittime e riguadagnare in futuro la fiducia perduta attraverso una prevenzione e una punizione coerente dei crimini di abuso.

16. Uno degli obiettivi principali del “Cammino sinodale” in Germania è stato quello di avviare un’analisi rigorosa delle cause del fallimento sistemico riguardo ai casi di abusi clericali e di trarre le necessarie conclusioni affinché i crimini commessi in passato non si ripetano. Questo sforzo è condiviso da tutti i partecipanti al “Cammino Sinodale”, e già ora ci sono segni di proposte consensuali per una migliore organizzazione dell’esercizio del potere all’interno della Chiesa, proposte che devono essere intese come una risposta concreta alle sfide della crisi degli abusi e che possono essere attuate a livello della Conferenza episcopale tedesca nei limiti dell’attuale diritto canonico.

Altri aspetti di una mutata pratica dell’esercizio del potere all’interno della Chiesa, che costituirebbero un reale potenziale di riforma soprattutto a livello parrocchiale (aspetti che si legano alle osservazioni della sezione precedente), sono stati finora poco considerati nella discussione. Le tesi contenute nella terza parte di questo documento vogliono essere delle proposte concrete riguardanti entrambe le aree.

17. Nell’attuale dibattito sul rinnovamento della Chiesa, la cui necessità è diventata palese attraverso a causa della crisi degli abusi, vengono spesso avanzate tematiche i cui contenuti non sono però provatamente collegabili con la riesanimazione o la prevenzione degli abusi di potere all’interno della Chiesa. Così le richieste per l’introduzione dell’ordinazione delle donne o il desiderio di un completo adattamento delle strutture ecclesiastiche agli standard delle moderne democrazie (soprattutto per quanto riguarda la separazione dei poteri), così come i dubbi sulla potestà spirituale dell’ordine sacro, la richiesta della sua conseguente desacralizzazione o una profonda riorganizzazione della morale sessuale della Chiesa sono componenti di un programma di riforma le cui origini si trovano a monte della crisi degli abusi e sono stati messi in relazione con essa solo in secondo luogo.

 Un tale intreccio d’interessi non corrisponde alla seria preoccupazione con la quale il “Cammino Sinodale” è stato promosso, e porta in sé il pericolo di nuove divisioni, all’interno della Chiesa tedesca così come nella sua relazione con il Vaticano e la Chiesa universale. Di questo Papa Francesco ha espressamente avvertito i cattolici in Germania[14]. Nutrendo la speranza che i voti di maggioranza di un’assemblea sinodale tedesca possano portare a un cambiamento della dottrina ufficiale della Chiesa e del diritto canonico universale o almeno legittimare una via speciale tedesca in questioni di fede e di dottrina morale, si finisce per alimentare quella logorante frustrazione che già da decenni cresce nella lotta per riforme radicali nella Chiesa cattolica. Il “Cammino Sinodale” farebbe bene ad evitare tali delusioni in anticipo, stabilendo le giuste priorità. Solo allora sarà possibile un fruttuoso intreccio con il processo sinodale per tutta la Chiesa, che Papa Francesco ha iniziato nella primavera del 2021.

18. La crisi sorta dalla rivelazione della grave colpa dei ministri ordinati e il fallimento delle autorità ecclesiastiche nel trattamento di questi ministri, non può essere superata da un rifiuto o relativizzazione delle convinzioni ecclesiologiche che stanno alla base della fede cattolica, ma solo comprendendole più profondamente e prendendole di nuovo sul serio. In un discorso sull’attuale dibattito sulla riforma, la badessa benedettina Christiana Reemts OSB ha dichiarato pregnantemente: «La Chiesa deve riformarsi. Sì e ancora una volta sì! Ma non secondo gli standard della società secolare, bensì ascoltando la Parola di Dio. E che cosa ci dice la Parola di Dio? 'Non farete la stessa cosa come queste nazioni quando adorate il Signore, vostro Dio. […] Non farete come facciamo oggi qui, dove ognuno fa quanto gli sembra bene’ (Deut 12,4.8). E il popolo oggi risponde come il popolo d’Israele rispose al profeta Samuele: ‘Saremo anche noi come tutti i popoli’ (1 Sam 8,20)»[15].

Il fatto che i crimini di abuso, con i quali la nostra società è confronta a molti livelli e che hanno potuto diffondersi per molto tempo anche nella Chiesa e nel suo clero senza essere efficacemente combattuti, conferma questa diagnosi. La Chiesa come istituzione, il suo clero e tutti i singoli battezzati al suo interno devono farsi condurre dalla Parola di Dio in un cammino di autentica conversione e di rinnovamento spirituale, compresa la trasformazione di falsi atteggiamenti, che possono arrivare fino all’empietà di fatto, così come la riforma delle strutture che si sono dimostrate inadeguate. La crisi è una chiamata alla Chiesa a cercare di nuovo Cristo come la vera e ultima fonte di guarigione e santificazione per tutti gli uomini, a prendere sul serio la sua chiamata al pentimento e a mettersi sotto il suo giudizio misericordioso.

19. Alla base di tutte le riforme strutturali deve rimanere la definizione della natura sacramentale della Chiesa, come è stata presentata dal Concilio Vaticano II. Nei passi già citati di LG 8 ciò è espresso in modo particolarmente dettagliato. L’esperienza dell’abuso di potere clericale sottolinea che la realtà visibile-istituzionale della Chiesa, alla quale appartiene anche l’ufficio, deve essere sempre consapevole che la sua realtà è fondata solo in Cristo e deve servire lui. In questo senso, la Chiesa è in certo qual modo “sacramento del sacramento”; l’umano nella Chiesa, come l’umano in Cristo, non è mai in unione immediata e personale con il divino.

Ovunque l’istituzione ecclesiastica o l’ordine sacro siano “deificati” in un falso senso, vi è un errore teologico che deve essere corretto. Pertanto, né la considerazione della sacralità oggettiva dell’ufficio né l’autorità carismatica dei singoli ministri o la loro posizione nella gerarchia ecclesiastica possono in futuro essere usate come pretesto per relativizzare o coprire crimini dei chierici.

D’altra parte, sarebbe altrettanto sbagliato mettere in dubbio la santità indistruttibile della Chiesa, a causa della dolorosa esperienza del fallimento umano, e pretendere un’indiscriminata desacralizzazione del ministero sacerdotale. Proprio perché l’ordine sacro è vincolato alla “sacra potestà”, il suo abuso ha carattere di sacrilegio e quindi costituisce, secondo la prospettiva della fede, uno scandalo ancora maggiore dei fallimenti dell’ufficio e dell’autorità in altri ambiti della società umana. La Chiesa deve alle vittime, prima di tutto, di chiarire e combattere coerentemente gli abusi sessuali e spirituali all’interno dei suoi stessi ambiti. Lo deve fare altresì perché la caratteristica oggettiva della santità è il criterio con cui devono essere giudicate le azioni della Chiesa e da cui tutti i membri della Chiesa devono costantemente farsi plasmare la propria esistenza (cf. LG 39-42).

6. Alle vittime di abuso e alle loro famiglie

[…] So che nulla può cancellare il male che avete sopportato. È stata tradita la vostra fiducia, e la vostra dignità è stata violata. Molti di voi avete sperimentato che, quando eravate sufficientemente coraggiosi per parlare di quanto vi era accaduto, nessuno vi ascoltava. Quelli di voi che avete subito abusi nei convitti dovete aver percepito che non vi era modo di fuggire dalle vostre sofferenze. È comprensibile che voi troviate difficile perdonare o essere riconciliati con la Chiesa. A suo nome esprimo apertamente la vergogna e il rimorso che tutti proviamo. Allo stesso tempo vi chiedo di non perdere la speranza. È nella comunione della Chiesa che incontriamo la persona di Gesù Cristo, egli stesso vittima di ingiustizia e di peccato. Come voi, egli porta ancora le ferite del suo ingiusto patire. Egli comprende la profondità della vostra pena e il persistere del suo effetto nelle vostre vite e nei vostri rapporti con altri, compresi i vostri rapporti con la Chiesa. So che alcuni di voi trovano difficile anche entrare in una chiesa dopo quanto è avvenuto. Tuttavia, le stesse ferite di Cristo, trasformate dalle sue sofferenze redentrici, sono gli strumenti grazie ai quali il potere del male è infranto e noi rinasciamo alla vita e alla speranza. Credo fermamente nel potere risanatore del suo amore sacrificale – anche nelle situazioni più buie e senza speranza – che porta la liberazione e la promessa di un nuovo inizio.

Rivolgendomi a voi come pastore, preoccupato per il bene di tutti i figli di Dio, vi chiedo con umiltà di riflettere su quanto vi ho detto. Prego che, avvicinandovi a Cristo e partecipando alla vita della sua Chiesa – una Chiesa purificata dalla penitenza e rinnovata nella carità pastorale – possiate arrivare a riscoprire l’infinito amore di Cristo per ciascuno di voi. Sono fiducioso che in questo modo sarete capaci di trovare riconciliazione, profonda guarigione interiore e pace.

Benedetto XVI, Lettera Pastorale ai Cattolici dell’Irlanda (19 marzo 2010), n.6

La disumanità del fenomeno a livello mondiale diventa ancora più grave e più scandalosa nella Chiesa, perché in contrasto con la sua autorità morale e la sua credibilità etica. Il consacrato, scelto da Dio per guidare le anime alla salvezza, si lascia soggiogare dalla propria fragilità umana, o dalla propria malattia, diventando così uno strumento di satana. Negli abusi noi vediamo la mano del male che non risparmia neanche l’innocenza dei bambini. Non ci sono spiegazioni sufficienti per questi abusi nei confronti dei bambini. Umilmente e coraggiosamente dobbiamo riconoscere che siamo davanti al mistero del male, che si accanisce contro i più deboli perché sono immagine di Gesù. Ecco perché nella Chiesa attualmente è cresciuta la consapevolezza di dovere non solo cercare di arginare gli abusi gravissimi con misure disciplinari e processi civili e canonici, ma anche affrontare con decisione il fenomeno sia all’interno sia all’esterno della Chiesa. Essa si sente chiamata a combattere questo male che tocca il centro della sua missione: annunciare il Vangelo ai piccoli e proteggerli dai lupi voraci.

Vorrei qui ribadire chiaramente: se nella Chiesa si rilevasse anche un solo caso di abuso – che rappresenta già di per sé una mostruosità – tale caso sarà affrontato con la massima serietà. Fratelli e sorelle: nella rabbia, giustificata, della gente, la Chiesa vede il riflesso dell’ira di Dio, tradito e schiaffeggiato da questi disonesti consacrati. L’eco del grido silenzioso dei piccoli, che invece di trovare in loro paternità e guide spirituali hanno trovato dei carnefici, farà tremare i cuori anestetizzati dall’ipocrisia e dal potere. Noi abbiamo il dovere di ascoltare attentamente questo soffocato grido silenzioso.

Francesco, Discorso del Santo Padre al termine dell’Incontro “La protezione dei minori nella Chiesa“, Vaticano (Sala Regia) (24 febbraio 2019)

Fonti della vera riforma della Chiesa

20. La potestà d’ufficio nella Chiesa, com’è diventato chiaro, richiede una fondata giustificazione teologica; essa è stata istituita da parte di Cristo ed è conferita nella potenza dello Spirito Santo. È comprensibile che in un’epoca di progressiva secolarizzazione e di una profonda crisi di fede, che ha le sue radici a monte della crisi degli abusi (che ha certamente effetto catalizzante) e che non verrebbe eliminata con il suo superamento, il ricorso a orientamenti teologico-rivelatori per la giustificazione degli uffici e delle strutture della Chiesa susciti in molti delle riserve generali.

La cosa ancora più sorprendente è che perfino alcuni cattolici rifiutano il fondamento cristologico dell’ufficio sacramentale bollandolo come “immunizzazione ideologica”. Un’ecclesiologia in linea con il Concilio Vaticano II non può tuttavia farne a meno. Risulta quindi troppo miope l’elaborazione di piani per una riforma della Chiesa che si orienta principalmente sullo standard delle attuali forme di esercizio di potere politico in comunità democratiche. Così i conflitti sulle affermazioni dogmatiche di base riguardanti l’ufficio del Papa e del vescovo o altri aspetti del sacramento dell’Ordo sono quindi pre-programmati.

I cristiani sono invece chiamati a chiedersi: «che cosa lo Spirito di oggi dice alla Chiesa (Ap 2,7), per riconoscere i segni dei tempi, il che non è sinonimo di adattarsi semplicemente allo spirito dei tempi e basta (Rom 12,2). Tutte queste dinamiche di ascolto, riflessione e discernimento hanno come obiettivo rendere la Chiesa ogni giorno più fedele, disponibile, agile e trasparente»[16].

21. In un atto di auto-riflessione, la Chiesa deve fare sempre riferimento alla Sacra Scrittura autenticamente interpretata dalla tradizione come criterio finale e critico. Anche l’obbligo di dialogare con tutti gli uomini di buona volontà, raccomandato alla Chiesa dal Concilio Vaticano II, presuppone anche questo chiaro orientamento. Come nei secoli precedenti, la Chiesa non si legherà unilateralmente a certi sistemi politici e sociali.

Il lamento di una presunta insufficiente inculturazione della Chiesa nelle società democratiche parte talvolta dalla tacita premessa che nello sviluppo sociale e politico della modernità lo spirito del Vangelo abbia trovato un’espressione più pura che nello sviluppo parallelo della Chiesa stessa. Le indicazioni decisive per il cammino della Chiesa del futuro non si cercano allora tanto nella Scrittura e nella tradizione, ma soprattutto nei “luoghi stranieri” (loci alieni) della presenza divina nel mondo, che può portare fino all’inversione del principio dello «scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo» (GS 4). La missione della Chiesa di cambiare le condizioni sociali nello spirito del messaggio di Gesù e di criticare gli sviluppi, anche quelli legittimati democraticamente, quando contraddicono la legge morale naturale e i comandamenti di Dio, passa con questo in secondo piano.

Questo spostamento dei criteri deve essere giudicato in modo critico da una prospettiva teologico-rivelatoria, poiché si basa su un’interpretazione dei testi del Concilio Vaticano II che non può convincere alla luce dell’insegnamento conciliare nel suo insieme.

22. Questo non significa negare che la forma delle strutture ecclesiastiche e la gestione concreta del potere nella Chiesa si sono sempre sviluppate anche in interazione con le rispettive realtà politiche e sociali. I cambiamenti dei valori e delle norme nel mondo civile lasciano sempre tracce anche nella Chiesa. Come in passato, anche oggi la Chiesa potrà beneficiare degli sviluppi positivi in ambito secolare, sia nel diritto che nell’amministrazione o nella cultura, ottimizzando o correggendo le proprie strutture secondo questo criterio, purché lo ritenga necessario e teologicamente legittimo (cf. GS 44). Così anche gli attuali dibattiti sulla partecipazione, la giustizia e la trasparenza possono senza dubbio contribuire al rinnovamento della Chiesa. Però non devono condurre a mettere in discussione le convinzioni cattoliche perché si spera così di ridurre la distanza della Chiesa da tutta la società o di assicurare la sua influenza pubblica.

23. Infine, va ricordato che le questioni del ministero e dell’esercizio del potere, per quanto possano essere importanti, si concentrano solo su un aspetto limitato della natura della Chiesa. Citiamo ancora Papa Francesco: «Gesù si presenta come Sposo della comunità che celebra l’Eucaristia, attraverso la figura di un uomo che la presiede come segno dell’unico Sacerdote. Questo dialogo tra lo Sposo e la sposa che si eleva nell’adorazione e santifica la comunità, non dovrebbe rinchiuderci in concezioni parziali sul potere nella Chiesa. Perché il Signore ha voluto manifestare il suo potere e il suo amore attraverso due volti umani: quello del suo Figlio divino fatto uomo e quello di una creatura che è donna, Maria»[17].

La realtà della Chiesa, come precisa il Papa, è determinata in ultima analisi dalla sua accettazione amorevole da parte di Cristo, dalla sua incorporazione in una “nuova ed eterna alleanza”. Questa comunione vivificante e santificante, che possiamo paragonare all’alleanza coniugale tra marito e moglie come la più alta forma di amore fra uomini, è affermata e approfondita in ogni celebrazione dell’Eucaristia. In questo, la rappresentazione ufficiale di Cristo da parte del sacerdote dispiega il suo vero significato solo sullo sfondo del carattere mariano della Chiesa nel suo insieme. Lei è la sposa di Cristo, scelta da lui, che l’ha concepito.

 Questa definizione della sua natura precede di fatto ogni forma di rappresentazione cristologica petrina e deve rimanere sempre riconoscibile anche nell’esercizio della potestà spirituale che ha un carattere ufficiale. Come la dimensione petrina della Chiesa è segnata tanto dal conferimento del potere delle chiavi a questo apostolo quanto dal suo clamoroso fallimento e tradimento, così nella realtà mariana della Chiesa si incontra la sua inalienabile grazia e santità attraverso il riferimento al archetipo puro. È da questo incontro che deve partire una riforma della Chiesa di tutti i tempi.

8. Sotto ogni crisi c’è sempre una giusta esigenza di aggiornamento: è un passo avanti. Ma se vogliamo davvero un aggiornamento, dobbiamo avere il coraggio di una disponibilità a tutto tondo; si deve smettere di pensare alla riforma della Chiesa come a un rattoppo di un vestito vecchio, o alla semplice stesura di una nuova Costituzione Apostolica. La riforma della Chiesa è un’altra cosa.

Non si tratta di “rattoppare un abito”, perché la Chiesa non è un semplice “vestito” di Cristo, bensì è il suo corpo che abbraccia tutta la storia (cf. 1 Cor 12,27). Noi non siamo chiamati a cambiare o riformare il Corpo di Cristo – «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e per sempre!» (Eb 13,8) – ma siamo chiamati a rivestire con un vestito nuovo quel medesimo Corpo, affinché appaia chiaramente che la Grazia posseduta non viene da noi ma da Dio: infatti, «noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi» (2 Cor 4,7). La Chiesa è sempre un vaso di creta, prezioso per ciò che contiene e non per ciò che a volte mostra di sé. […]

Il comportamento giusto invece è quello dello «scriba, divenuto discepolo del Regno dei cieli», il quale «è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52). Il tesoro è la Tradizione che, come ricordava Benedetto XVI, «è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre le origini sono presenti. Il grande fiume che ci conduce al porto dell’eternità» (Catechesi, 26 aprile 2006). Mi viene in mente la frase di quel grande musicista tedesco: “La tradizione è la salvaguardia del futuro e non un museo, custode delle ceneri”. Le “cose antiche” sono costituite dalla verità e dalla grazia che già possediamo. Le cose nuove sono i vari aspetti della verità che via via comprendiamo. Quella frase del secolo V: “Ut annis scilicet consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate”: questa è la tradizione, così cresce. Nessuna modalità storica di vivere il Vangelo esaurisce la sua comprensione. Se ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo, ogni giorno ci avvicineremo sempre di più a «tutta la verità» (Gv 16,13).

Al contrario, senza la grazia dello Spirito Santo, si può persino cominciare a pensare la Chiesa in una forma sinodale che però, invece di rifarsi alla comunione con la presenza dello Spirito, arriva a concepirsi come una qualunque assemblea democratica fatta di maggioranze e minoranze. Come un parlamento, per esempio: e questa non è la sinodalità. Solo la presenza dello Spirito Santo fa la differenza.

9. Che cosa fare durante la crisi? Innanzitutto, accettarla come un tempo di grazia donatoci per capire la volontà di Dio su ciascuno di noi e per la Chiesa tutta. Occorre entrare nella logica apparentemente contraddittoria che “quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10). Si deve ricordare l’assicurazione data da San Paolo ai Corinzi: «Dio è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere» (1 Cor 10,13).

Fondamentale è non interrompere il dialogo con Dio, anche se è faticoso. Pregare non è facile. Non dobbiamo stancarci di pregare sempre (cf. Lc 21,36; 1 Ts 5,17). Non conosciamo alcun’altra soluzione ai problemi che stiamo vivendo, se non quella di pregare di più e, nello stesso tempo, fare tutto quanto ci è possibile con più fiducia. La preghiera ci permetterà di “sperare contro ogni speranza” (cf. Rm 4,18).

Francesco, Discorso ai membri del Collegio Cardinalizio e della Curia Romana per la presentazione degli Auguri Natalizi (21 dicembre 2020), nn.8-9

Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere. Non bisogna dimenticare che quando parliamo di potestà sacerdotale «ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità» (Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale „Christifideles laici“, n. 51). Il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi che Gesù utilizza al servizio del suo popolo, ma la grande dignità viene dal Battesimo, che è accessibile a tutti. La configurazione del sacerdote con Cristo Capo – vale a dire, come fonte principale della grazia – non implica un’esaltazione che lo collochi in cima a tutto il resto. Nella Chiesa le funzioni «non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione „Inter insigniores“, sulla questione dell’ammissione della donna al sacerdozio ministeriale, 15 ottobre 1976, VI).

Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi. Anche quando la funzione del sacerdozio ministeriale si considera “gerarchica”, occorre tenere ben presente che «è ordinata totalmente alla santità delle membra di Cristo» (Giovanni Paolo II, Lett. ap. „Mulieris dignitatem“, 15 agosto 1988, 27). Sua chiave e suo fulcro non è il potere inteso come dominio, ma la potestà di amministrare il sacramento dell’Eucaristia; da qui deriva la sua autorità, che è sempre un servizio al popolo.

Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n.104

 

  • Proposte per un nuovo modo di gestione del potere e dell’abuso di potere nella Chiesa

1. La santità della Chiesa non salvaguarda da errori. Nella Chiesa, per quanto riguarda i ministri e i funzionari, così come i battezzati e i cresimati, si deve in ogni momento tener conto dell’imperfezione e della peccaminosità dell’essere umano e quindi anche della cattiva condotta individuale e istituzionale, non per ultimo nel trattamento del potere. Perciò, oltre a una fiducia fondamentale nelle risorse indistruttibili di santità che il Signore ha dato alla sua Chiesa, c’è bisogno di una costante volontà di riforma, di un costante ritorno e riorientamento di tutti i membri della Chiesa verso i precetti di Gesù. È necessaria una riflessione costante su ciò che in passato ha provatamente protetto la Chiesa da certi abusi, e ciò che può proteggerla da essi in futuro. Allo stesso tempo, bisogna evitare l’errore che esseri umani possano istituire una nuova Chiesa migliore al posto di quella esistente. Una tale forma di arroganza ignorerebbe la differenza tra la Chiesa e le istituzioni puramente umane e porterebbe inevitabilmente a nuove forme di abuso di potere.

2. Errori sono stati e verranno commessi. Atteggiamenti sbagliati hanno favorito molte forme di abuso sessuale e spirituale e ne hanno ostacolato l’investigazione e la prevenzione. Tra le cause accertate dell’abuso di potere nella Chiesa ci sono un’errata divinizzazione dell’istituzione e dell’ufficio, l’abuso dei rapporti di dipendenza nelle relazioni pastorali, la falsa presupposizione, con gravissime conseguenze, di sentirsi protetto come colpevole da parte dell’istituzione, e la tabuizzazione della sessualità con le sue manifestazioni patologiche. Tra i fattori che hanno ostacolato il trattamento o la prevenzione di tali abusi ci sono l’intenzione di proteggere l’istituzione ecclesiastica da qualsiasi critica, la mancanza di conoscenza nelle valutazioni umano-scientifiche degli abusi sessuali, la fiducia ingenua nei rapporti psichiatrici o psicologici che si sono dimostrati inaffidabili da una prospettiva odierna, e una discutibile comprensione della misericordia nell’applicazione del diritto penale canonico. La parsimonia nei confronti degli autori di abusi, la mancanza di sensibilità verso le vittime e la mancanza d’identificazione degli errori interni al sistema hanno reso più difficile l’individuazione e la prevenzione degli abusi. Non va dimenticato che oltre all’abuso sessuale e spirituale, altre forme di abuso di potere possono sempre insinuarsi nella Chiesa, come la corruzione finanziaria, l’atteggiamento di non assumere consapevolmente la responsabilità, o il comportamento manipolativo nelle relazioni ufficiali gerarchicamente strutturate. Anche queste forme devono essere contrastate.

3. Qualcosa deve cambiare. Per poter contrastare l’abuso di potere nell’ambito della Chiesa (soprattutto in modo preventivo), è necessario a) il riconoscimento delle vittime prima di tutti gli interessi istituzionali; b) un’attenta selezione e qualificazione di tutte le persone che esercitano una funzione nella Chiesa; questo include non solo la conoscenza del quadro giuridico del loro rispettivo compito, ma anche una solida formazione, soprattutto per quanto riguarda un’adeguata gestione dei rapporti di tutte le relazioni di prossimità-distanza e la prevenzione degli abusi; c) la massima trasparenza nelle decisioni interne della Chiesa e la loro giustificazione, d) un chiaro delineamento dei limiti della rispettiva autorità, e) una chiara formulazione e attuazione della legge (penale) della Chiesa e dei regolamenti procedurali nel trattamento dei chierici e laici accusati (in modo fondato), f) lo sviluppo di strumenti di controllo adeguati e indipendenti, g) la collaborazione completa e senza riserve delle autorità ecclesiastiche con la magistratura statale per denunciare i crimini e di punire i colpevoli con la pena prevista anche secondo la legge secolare.

4. L’abuso di potere deve essere conseguentemente denunciato e perseguitato. In ogni diocesi deve essere istituito e assicurato un centro di contatto per le vittime di abusi di potere nella Chiesa, nonché di organismi di intervento e di strumenti di controllo indipendenti. In ogni diocesi ci devono essere punti di contatto affidabili ai quali si possa ricorrere in caso di abusi di potere di qualsiasi tipo, ma anche in caso di conflitti di governo, e che offrano agli interessati uno spazio protetto in cui presentare le loro lamentele e preoccupazioni. In una simile struttura è possibile organizzare un primo accompagnamento o sostegno terapeutico e, se necessario, promuovere iniziative d’intervento. Qualora dovesse sorgere un sospetto fondato di abuso, ci si deve assicurare nelle singole diocesi che tale caso venga giudicato e trattato in modo affidabile secondo le norme oggettive della legge ecclesiastica. Questo comprende anche una segnalazione alla Santa Sede. Ci deve essere un’istituzione che verifichi in modo plausibile l’attendibilità della richiesta di risarcimento delle vittime a riconoscimento delle loro sofferenze, e che assegni gli aiuti economici secondo criteri possibilmente uniformi nel territorio della Conferenza episcopale tedesca (DBK). I presunti reati saranno in ogni caso denunciati anche alla giustizia statale, tuttavia non contro la volontà della presunta vittima o del suo tutore; questa eccezione non vale se vi sono indicazioni di altre vittime. L’impegno del trattamento degli abusi sessuali all’interno della Chiesa con l’aiuto di commissioni indipendenti e delle istanze statali deve essere incentivato ulteriormente.

5. Decisioni importanti devono essere comprensibili. Le decisioni importanti riguardo al personale e a cose esigono trasparenza e devono essere giustificate per iscritto. Solo così esse possono essere riesaminate e, se necessario, contestate. I fascicoli del personale devono essere tenuti con cura e a prova di manomissioni secondo i migliori standard amministrativi e devono documentare in modo affidabile la cattiva condotta dei dipendenti della Chiesa. Prima di ogni provvedimento sul personale devono essere esaminati i relativi atti.

6. La Chiesa deve migliorare la sua comunicazione. Per promuovere la partecipazione ai processi decisionali della Chiesa e la loro verificabilità, è necessario ottimizzare la comunicazione della Chiesa sia all’interno che all’esterno. Questo include l’ulteriore professionalizzazione del lavoro della stampa e dei media e la maggiore inclusione della formazione sui media nell’istruzione e nel perfezionamento della Chiesa.

7. Il bisogno di ampliare la sinodalità a tutti i livelli della Chiesa. «La sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico» (Papa Francesco[18]). Nella comunità della Chiesa, si deve «distinguere tra il processo per elaborare una decisione (decision-making) attraverso un lavoro comune di discernimento, consultazione e cooperazione, e la presa di decisione pastorale (decision-taking) che compete all’autorità del Vescovo, garante dell’apostolicità e cattolicità. L’elaborazione è un compito sinodale, la decisione è una responsabilità ministeriale»[19]. Questo principio permette di considerare le strutture sinodali a tutti i livelli della Chiesa e il loro pieno coinvolgimento nei processi decisionali. Per motivare le persone a partecipare a questi processi, è essenziale definire in modo affidabile i diritti di consultazione o decisione. Ogni decisione responsabile da parte dei funzionari ecclesiastici implica la consultazione degli organi competenti, l’esame degli argomenti presentati da questi ultimi e i voti che essi adottano. In caso di dissenso, tutte le persone coinvolte hanno la possibilità di far rivedere le decisioni dalla successiva autorità ecclesiastica superiore, secondo il diritto canonico.

8. Gli uffici e i ministeri della Chiesa richiedono profili chiari. Per tutti gli uffici ecclesiastici in senso stretto (cf. CIC, can. 145 § 1), ma anche per le funzioni (sia a tempo pieno che volontarie) assunte in modo permanente nella Chiesa, vengono formulati dei profili per iscritto, dai quali si evince chiaramente in cosa consistono i presupposti, le competenze e i limiti del potere delegato. Può essere utile formulare per iscritto accordi concreti sugli obiettivi, in cui la relazione con altri uffici e ministeri nella Chiesa sia descritta in modo affidabile per quanto riguarda un particolare compito. Questo previene l’incertezza giuridica e un'espansione clandestina del potere o l’esercizio di un “governo ombra” e garantisce l’affidabilità della partecipazione. A tal fine, ogni diocesi emette linee guida vincolanti per gli uffici ecclesiali e i ministeri più importanti (sia a tempo pieno che volontari) esercitati nel suo territorio.

9. I laici devono essere più coinvolti. La vocazione dei laici «a collaborare più immediatamente con l’apostolato della Gerarchia» deve essere ulteriormente sviluppata, il loro apostolato è per principio la «partecipazione alla missione salvifica stessa della Chiesa» (LG 33). Il diritto canonico prevede la possibilità di coinvolgere persone non ordinate battezzate e cresimate nell’esercizio della potestà di governo (CIC, can. 129 § 2). Ad essi possono essere affidati uffici ecclesiastici (cf. CIC, can. 145), purché non siano quelli che servono alla «piena cura delle anime» e quindi richiedono l’ordine sacerdotale (CIC, can. 150). Già ora i laici sono coinvolti in una varietà di uffici dell’amministrazione diocesana, nella pastorale parrocchiale e categoriale, così come nell’annuncio della fede e nella ricerca e nell’insegnamento teologico. In queste attività i cristiani s’impegnano con i loro carismi spirituali e le loro competenze professionali per il bene della missione globale della Chiesa (cf. CIC, can. 204 §1). Alle Chiese locali si aprono molte vie di realizzazione, come si può vedere in Germania, per esempio, nei ministeri pastorali a tempo pieno di lunga data o nelle posizioni più recentemente create di responsabili per l’amministrazione a tempo pieno nelle parrocchie o nelle associazioni parrocchiali. Attraverso l’accesso allargato ai ministeri dei lettori e degli accoliti svolti dai laici (Motuproprio Spiritus Domini, 10 gennaio 2021) così come l’istituzione del ministero laico del catechista (Motuproprio Antiquum ministerium, 10 maggio 2021), Papa Francesco ha recentemente mostrato nuove vie per un impegno intensificato di tutti i membri della Chiesa nell’opera dell’evangelizzazione. In questo caso, come anche nei casi ove non è richiesto l’ordine sacro per assumere uffici e ministeri, donne e uomini devono essere considerati allo stesso modo, quando possibile.

10. Le forme cooperative di governo devono essere ulteriormente sviluppate. Anche se la guida di una parrocchia è riservata al sacerdote (CIC, can. 517/519), altre persone possono essere coinvolte nella sua cura pastorale (CIC, can. 517 § 2). In questo caso, è necessario che ci sia chiarezza nella delega delle competenze di governo a persone non ordinate battezzate e cresimate e nell’assegnazione delle responsabilità. A questo scopo, nelle diocesi si devono creare quadri giuridici particolari, che servano a profilare chiaramente i vari uffici e ministeri e includano anche un sistema di reclami in caso di conflitti.

11. La qualificazione professionale e spirituale è essenziale. Si deve fare attenzione a garantire che i ministri ordinati, così come tutti i battezzati e cresimati che sono stati incaricati a svolgere ministeri specifici, siano qualificati a sufficienza professionalmente e spiritualmente a sufficienza. I soli prerequisiti sacramentali (battesimo e cresima o ordinazione) non garantiscono che qualcuno possieda effettivamente le qualifiche richieste per l’esercizio di un ufficio di governo. Con l’espansione delle aree pastorali, l’istituzione di nuove forme di una pastorale cooperativa e il cambiamento delle condizioni sociali, le richieste ai titolari di responsabilità di governo nell’ambito della Chiesa stanno cambiando. Il loro esercizio presuppone, quindi, un costante aggiornamento e una formazione a tutti i livelli (diocesi, decanato, parrocchia, associazioni e società), nonché una solida formazione spirituale. Tutte le diocesi devono stabilire regolamenti vincolanti per la qualificazione dei titolari di un ufficio e dei funzionari. Si dovrebbero in questo senso sfruttare le opportunità di cooperazione tra diverse diocesi.

12. La nomina dei titolari di un ufficio ecclesiastico deve essere trasparente. La partecipazione all’interno della Chiesa dovrebbe essere promossa nella nomina dei titolari di un ufficio ecclesiastico. A tal fine, una descrizione vincolante del profilo della posizione da ricoprire deve essere elaborata in anticipo dagli organi di nomina responsabili. Dev’essere un bando di concorso pubblico, indicando il profilo di lavoro. Le qualifiche dei possibili candidati o candidate sono esaminate in consultazione con gli organi sinodali, che votano anche sulla nomina. La decisione presa in merito a una nomina deve essere documentata per iscritto e motivata. I diritti di partecipazione esistenti che esulano l’udienza (diritti di elezione e di presentazione) vengono mantenuti.

13. La parrocchia ha bisogno di più voce in capitolo nel coprire le posizioni parrocchiali. Prima della nomina di un parroco, il consiglio parrocchiale competente sarà invitato dal vescovo a presentare per iscritto desideri e aspettative riguardo alle priorità pastorali. Il vescovo terrà in debito conto queste considerazioni. Egli rimane libero nella sua decisione, ma il consiglio parrocchiale ha il diritto di essere informato sulla decisione personale del vescovo. Nel caso di nomina ad altri uffici clericali, i consigli pertinenti a livello di decanato o diocesano devono essere coinvolti in modo analogo. Le delibere sono strettamente confidenziali per tutelare i diritti personali dei candidati interessati. Violazioni comprovate dell’obbligo di riservatezza possono essere segnalate all’apposito ufficio addetto alla gestione di conflitti di governo (cf. n. 4 sopra) e, qualora possono essere provate, devono essere punite con l’esclusione immediata dal consiglio in questione.

14. Prima della nomina dei vescovi devono essere raccolte altre proposte. I Consigli diocesani e il Capitolo della Cattedrale fanno proposte di personale separatamente prima della nomina del Vescovo. La nomina dei candidati idonei è strettamente confidenziale. Le liste dei consigli devono essere preparate in modo tale che si possa discernere un ordine di priorità dei possibili candidati. Una compilazione di tutte le liste sarà trasmessa alla Santa Sede dall’Amministratore diocesano. L’elezione o la nomina del Vescovo avverrà secondo i concordati in vigore. Se in futuro anche i laici possano essere direttamente coinvolti nell’elezione di un vescovo da parte del Capitolo della Cattedrale, per esempio come i cappellani di cattedrale non residenti, è rimandato al futuro sviluppo del diritto concordatario.

 

[1] Cf. Sekretariat der Deutschen Bischofskonferenz (Hg.), Katholische Kirche in Deutschland Zahlen und Fakten 2019/20.

[2] https://www.dbk.de/fileadmin/redaktion/Zahlen%20und%20Fakten/Kirchliche%20Statistik/Priesterweihen_Neupriester/2018-Neupriester-Priesterweihen_1962-2018.pdf

[3] Francesco, Evangelii Gaudium: Esortazione Apostolica sull'annuncio del Vangelo nel mondo attuale (24 novembre 2013), n. 26.

[4] Ibid., n. 120.

 

[5] Francesco, Lettera Apostolica Patris corde (8 dicembre 2020), n. 5.

[6] Cf. Hans Urs von Balthasar, Casta meretrix in: Id., Sponsa Verbi. Skizzen zur Theologie II, Einsiedeln 1961, 203-305.

[7] In questo punto viene presentata la traduzione del testo tedesco: “Das Amt, das sie aus deiner Hand, o Gott, empfangen, die Teilhabe am Priesterdienst, sei ihr Anteil für immer.” Tuttavia, il testo italiano della preghiera consacratoria differisce leggermente: “Adempiano fedelmente, o Signore, il ministero del secondo grado sacerdotale da Te ricevuto e con il loro esempio guidino tutti a un'integra condotta di vita”. Annotazione del traduttore.

[8] Cf. Tommaso d’Aquino, S. th. III, 82, 8 ad 2.

[9] Francesco, Querida Amazonia: Esortazione Apostolica post-sinodale (2 febbraio 2020), n. 88.

[10] Cf. anche Conferenza episcopale tedesca (DBK), “Gemeinsam Kirche sein“. Wort der deutschen Bischöfe zur Erneuerung der Pastoral (1 agosto 2015), cap. 1 und 2.

[11] Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa (2018), n. 42.

[12] Cf. Congregazione per il Clero, Istruzione La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa (20 luglio 2020), n. 66.

[13] Cf. ibid., n. 87-93.

[14] Cf. Francesco, Lettera del Santo Padre al Popolo di Dio che è in cammino in Germania (29 giugno 2019), n. 10.

[15] https://mariendonk.de/index.php/blog [voce del 5 febbraio 2021].

[16] Francesco, Lettera del Santo Padre al Popolo di Dio che è in cammino in Germania (29 giugno 2019), n. 8.

[17] Francesco, Querida Amazonia: Esortazione Apostolica post-sinodale (2 febbraio 2020), n. 101.

[18] Francesco, Discorso per la Commemorazione del 50° anniversario dell'istituzione del Sinodo dei Vescovi (17 ottobre 2015). URL: https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/october/documents/papa-francesco_20151017_50-anniversario-sinodo.html

[19] Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa (2018), n. 69.


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